La legge n° 24/2017, pubblicata in G.U. il 17 marzo 2017 è entrata in vigore, per la quasi totalità delle sue previsioni a far data dal successivo 2 aprile. Deve subito riconoscersi che essa pone, indubbiamente, un punto di svolta nella disciplina della professione sanitaria, pubblica e privata, considerata essa sia a livello individuale, ovverosia come prestazione del singolo esercente, sia a livello di enti ospedalieri e istituti clinici.
L’art. 1 della novella, intitolato “Sicurezza delle cure in sanità” costituisce a tutti gli effetti un preambolo di ampio respiro, che chiarisce come l’intento del legislatore con il testo normativo de qua sia quello della piena attuazione del dettato costituzionale (art. 32): la salute come diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della società viene qui declinato col parametro della “sicurezza delle cure”, attraverso attività di prevenzione cui sono chiamati tutti gli operatori e le strutture sanitarie pubbliche e private. E così, in quest’ottica, mentre si attribuiscono specifici compiti al Difensore civico, all’art. 3 si prevede l’istituzione, entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge, dell’ ”Osservatorio Nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità” per la raccolta dei dati relativi al rischio sanitario, agli eventi avversi, alle cause, alla frequenza ed entità del contenzioso relativo, elaborando misure adatte per la prevenzione del rischio e per la formazione del personale sanitario. Questa è la parte della legge che dovrà essere verificata, aldilà delle buone intenzioni del legislatore, nella sua applicazione pratica.
Entrando in medias res, deve anzitutto osservarsi che, da un lato, la legge si rivolge, oltre che agli enti ed alle strutture, agli “esercenti la professione sanitaria”, con ciò non escludendo nessuno tra i protagonisti della somministrazione e gestione delle cure (medici, personale infermieristico, ausiliari, ecc.); dall’altro lato, l’attenzione è posta alla persona interessata alle prestazioni sanitarie, la cui tutela è posta in primo piano e dotata di nuovi strumenti dalla novella: si veda ad esempio, come primo importante novum della disciplina, il diritto espressamente attribuito a ciascun paziente ad ottenere copia della sua cartella clinica da parte dell’ente ospedaliero pubblico o privato entro il termine strettissimo di 7 giorni dalla richiesta e “preferibilmente” in formato elettronico (art. 4, co. 2): resta da capire quale sanzione, che la legge non prevede, potrebbe conseguire per l’ente ospedaliero inadempiente a tale obbligo.
Ma i punti che più incidono sullo status quo, sotto il profilo sostanziale e processuale, concernono le previsioni della responsabilità civile e penale. Vediamo con ordine.
L’art. 6 disciplina espressamente la “responsabilità medica dell’esercente la professione sanitaria” inserendo nel codice penale il nuovo art. 590 sexies, nel cui capoverso è inserita la previsione di non punibilità dell’esercente la professione sanitaria per i reati di lesioni ed omicidio colposi quando l’evento si sia verificato per imperizia a condizione che si siano rispettate le raccomandazioni delle linee guida o, in mancanza, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre però parametrando l’adeguatezza delle raccomandazioni con la specificità del caso concreto.
Dopodichè, lo stesso art. 6 dispone l’abrogazione dell’art. 3, co. 1 del cd. “Decreto Balduzzi”. Verrebbe, perciò, spontaneo ritenere che si sia qui di fronte ad una mera codificazione di quanto, appunto, la norma speciale ora abrogata prevedeva. E tuttavia, se si raffrontano le previsioni, ci si avvede che il nuovo art. 590 sexies, co. 2, c.p. fa ben di più: in primo luogo limita espressamente la non punibilità ai casi di colpa dovuta ad “imperizia”, cosa che il Decreto Balduzzi invece non faceva, lasciando così aperta l’interpretazione giurisprudenziale sulla rilevanza o meno della negligenza e della imprudenza (anche se la Suprema Corte si era poi consolidata su una linea interpretativa che si focalizzava solo sull’imperizia, alla luce del fatto che le linee guida contengono solo regole di perizia). Scompare, invece, nella nuova causa di non punibilità ogni riferimento alla “colpa lieve”, che invece era espressamente presa in esame dall’abrogato art. 3 Decreto Balduzzi. Come mai? E’ intuibile ritenere che per il legislatore del 2017 la colpa sanitaria è per definizione da ritenersi “lieve” – ditalchè sarebbe pleonastico esprimerlo – ogni qualvolta l’operatore si attenga alle linee guida o alle buone pratiche clinico-assistenziali. Sta di fatto che ad oggi, verificato il requisito dell’osservanza di quanto la legge prevede, il giudice sarà esonerato da ogni indagine e decisione circa il grado della colpa.
Quanto alle linee guida, su cui il Decreto Balduzzi nulla meglio specificava, l’art. 5 L. 24/2017 ne fornisce invece indicazioni più precise, rimandando poi ad un futuro decreto attuativo del ministero della Salute per la selezione delle società scientifiche, cui si aggiungeranno gli Ordini dei medici, abilitate ad elaborare raccomandazioni valide per tutti, previa validazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità.
Certo è che l’inciso riguardante l’ “adeguatezza al caso concreto” è sufficientemente generico da lasciar aperto un varco di indeterminatezza circa la punibilità o meno del singolo operatore sanitario.
Altro deve dirsi per la responsabilità civile, che viene profondamente regolata ed incisa dalla nuova legge in esame.
Innanzitutto l’art. 7 risolve in modo esplicito il titolo a cui rispondono enti ospedalieri e singoli operatori sanitari rispetto ai danni da colpa medica: la responsabilità delle strutture sanitarie pubbliche e private è di tipo contrattuale, mentre i singoli esercenti la professione sanitaria nell’ambito delle strutture sanitarie rispondono esclusivamente per responsabilità aquiliana, ex art. 2043 c.c. Come è evidente, viene qui fatta giustizia, una volta e per sempre, della cosiddetta responsabilità contrattuale “da contatto sociale”, di creazione squisitamente giurisprudenziale, che tanta confusione aveva suscitato nella dinamica processuale. Ora invece, aldilà di queste espresse ripartizioni, il singolo professionista potrà rispondere a titolo contrattuale solo ed unicamente se avrà assunto un’espressa obbligazione contrattuale con il paziente.
Questo nuovo assetto – nuovo per la chiarezza con cui viene previsto – svolge ovvie conseguenze sulla ripartizione dell’onere della prova e sui termini di prescrizione, a seconda dell’azione processuale che si vorrà prescegliere.
Strettamente correlata con tali previsioni è l’obbligo, introdotto dall’art. 10, per le strutture sanitarie pubbliche o private di munirsi di copertura assicurativa verso terzi. Ma non solo: anche il singolo sanitario è tenuto a munirsi di adeguata polizza assicurativa per il caso di sua colpa grave (art. 10 co. 3).
Questo obbligo di copertura assicurativa presta, ovviamente una sponda robusta agli interessi risarcitori dei pazienti, ma la vera “rivoluzione” che la novella legislativa introduce è l’attribuzione di azione diretta del singolo danneggiato nei confronti della compagnia assicuratrice, sul modello già vigente per i sinistri stradali (art. 12). Tale azione diretta potrà essere esercitata (il tempo futuro si impone, poiché l’entrata in vigore di questa previsione è sospesa fino all’emanazione del decreto attuativo con cui saranno determinati i requisiti minimi delle polizze assicurative) sia nei confronti delle assicurazioni degli enti ospedalieri e strutture sanitarie, sia nei confronti di quelle imprese che assicurano i singoli esercenti la professione in strutture pubbliche (come si è visto, anch’essi sottoposti all’obbligo assicurativo per colpa grave).
Questa previsione, in uno con la specificazione del titolo di responsabilità civile cui rispondono gli enti e le strutture ospedaliere apre un interrogativo sotto il profilo processual-penalistico, ovverosia: chi si costituisce parte civile nei confronti di un medico per lesioni o omicidio colposi, quale responsabile civile potrà chiedere di citare? L’ente ospedaliero? La risposta è affermativa, solo a patto che sia ancora ammissibile, in via di interpretazione, che l’ente sia titolare di responsabilità ex lege (ex art. 2049 c.c. per l’operato dei suoi dipendenti sanitari), ciò in quanto se la L. 24/2017 facesse riferimento esclusivo ad una responsabilità contrattuale dell’ente, verrebbe meno la sua legittimazione ad essere responsabile civile in sede penale). Si deve ritenere che, poichè ubi lex voluit dixit, la responsabilità indiretta dei padroni e dei committenti non sia stata tacitamente esclusa dalla novella, e che continui a trovare applicazione l’art. 2049 c.c. come fonte di ammissibilità del responsabile civile.
Ma ancora: il danneggiato costituito parte civile potrà chiedere che venga citato nel processo, come responsabile civile, altresì la compagnia assicuratrice (melius: le compagnie dell’ente e del medico imputato)? Se l’azione diretta è prevista dalla legge, come ormai è un dato acquisito, nulla lo impedisce e nulla impedisce che tale citazione dei responsabili civili-assicurazioni non sia alternativa a quella dell’ente ospedaliero, ma cumulativa.
Assisteremo, perciò, verosimilmente ad una sovrabbondante presenza di soggetti processuali nei processi penali per lesioni o omicidi da responsabilità sanitaria.
Ultima riflessione riguarda quella che, altrettanto verosimilmente, sarà la questione che verrà portata alla Corte Costituzionale, ovverosia se anche il singolo esercente sanitario imputato nel processo possa essere legittimato alla richiesta di citazione del responsabile civile-compagnia assicurativa, per essere manlevato dalle conseguenze risarcitorie in caso di inerzia processuale, sotto questo profilo, della parte civile.
La questione, come si intuisce, pone le sue basi sulla decisione già assunta dal Giudice delle leggi nel 1998 con riferimento alla responsabilità civile da circolazione stradale: poiché in quel caso l’azione diretta nei confronti dell’assicurazione è stabilità dalla L. 990/1969, la Corte Cost. con sentenza 16/4/1998 n° 112 aveva riconosciuto, solo per questa ipotesi di imputazione, la legittimazione in capo all’imputato a citare la compagnia nel processo. Poiché ora la disciplina introdotta dalla L. 24/2017 è del tutto analoga a quella sulla circolazione stradale, è facile aspettarsi un ricorso, con risultati analoghi, su questo punto alla Corte Costituzionale.